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Nelle separazioni delle coppie di fatto è molto frequente il problema delle attribuzioni patrimoniali elargite durante il rapporto di convivenza.

Si tratta di somme perse?

Con una interessante sentenza dello scorso febbraio (Cassazione civile sez. III, 03/02/2020, n.2392) la Corte Suprema ha precisato i limiti e la proponibilità dell’azione per ottenere la suddetta restituzione.
Un uomo si era infatti rivolto al Tribunale di Torino per chiedere all’ex convivente la restituzione di una somma cospicua, fondando tale richiesta sul rapporto di associazione in partecipazione intercorso tra le parti ai sensi dell’art. 2549 cc
Ai sensi dell ‘art. 2549 cc: con il contratto di associazione in partecipazione, l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto.

Nel caso in cui l’associato sia una persona fisica l’apporto di cui al primo comma non può consistere, neanche in parte, in una prestazione di lavoro.
In primo grado il Tribunale torinese ha accolto la domanda del frequente ma sul diverso presupposto dell’arricchimento senza causa di cui all’art. 2041 cc.

L’arricchimento senza causa.

Ai sensi dell’art. 2041 cc: Chi, senza una giusta causa, è arricchito da un danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, un indennizzare controllato dalla correlativa regolamenti patrimoniali “.

Per impostare la fattispecie dell’arricchimento senza causa richiesta che una parte ha conseguito un vantaggio economico mancato pagamento di una prestazione. Vi è essere compreso tra i due eventi un nesso di causalità inteso anche nel senso che deve sussistere un unico fatto che ha generato lo squilibrio patrimoniale.

Ma come si informa il predetto istituto dell’assunzione delle convivenze di fatto?

È stato riconosciuto, prima a livello giurisprudenziale e poi anche a livello legislativo, che è la convivenza più importante “ Assumere il rilievo di  formazione sociale  dalla quale scaturiscono  doveri  di natura sociale e morale di ciascun convivente nei confronti dell’altro, da cui discendono, sotto vari aspetti, conseguenze di natura giuridica “e che” eventuali contributi di una convivente altri vanno intesi, invero, come adempimenti che la coscienza sociale considera  doverosi  di un rapporto affettivo che non può non implicare forme di collaborazione e di assistenza morale e materiale ” .

Infatti nel caso in esame la richiesta compagna proponeva, ed in seguito all’ordinanza di inammissibilità dell’appello stesso da parte della Corte territoriale, la donna proponeva ricorso per cassazione, lamentando la circostanza che la decisione di un primo grado non avesse ricondotto i versamenti di denaro dell’ex convivente d’uso dell’adempimento delle obbligazioni naturali, di cui all’art. 2034 cc.

Cosa sono le obbligazioni naturali.

“L’obbligazione naturale consiste nell’adempimento di un dovere morale o sociale, racconto per cui il debitore, pur non avendo il dovere (giuridico) di adempiere, una volta eseguita la prestazione non può più ottenere la ripetizione (restituzione) di quanto prestato .

Le obbligazioni naturali sono quelle obbligazioni per cui non si può esserci nessuna esecuzione forzata o richiesta di ripetizione: basti pensare ai debiti di gioco. In questo caso l’adempimento è spontaneo nell’esecuzione di doveri sociali e morali

La Cassazione ha rigettato il ricorso della donna, statuendo come le operazioni usate nella sede della convivenza, non può rientrare nell’alveo degli adempimenti della natura morale e sociale, e di essere, cioè, irripetibili ai sensi del già citato articolo 2034 cc.

Le dazioni di denaro in sede di convivenza specialmente quando sono consistenti e non proporzionali alle esigenze familiari si configura come arricchimento del soggetto in favore di quale sono fatti, e come tali vengono ripetibili.

 

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